I ventinove saggi di Costantino Dardi che compongono questo volume rappresentano alcuni dei più significativi contributi prodotti negli ultimi suoi quindici anni di vita, l’età della piena maturità, dopo il suo definitivo trasferimento a Roma. Dardi stesso aveva pensato di raccoglierli in forma unitaria e questa pubblicazione postuma ci consente di apprezzare meglio la cogente attualità dei temi trattati e il valore non effimero delle riflessioni dell’architetto friulano. Si ha così occasione di seguire un percorso, per molti aspetti ancora troppo poco noto, che va dai problemi sollevati dalla costruzione di New Town a quelli dell’allestimento museale, dal riuso dei grandi «contenitori storici» fino alle considerazioni che circoscrivono – come testimonia qui in un toccante testo il suo «compagno segreto» Aldo Rossi – quel «nuovo, più complesso e ambiguo sentimento del luogo» che insidia e attraversa il lavoro degli architetti. Non mancano, fra l’altro, alcuni sconfinamenti verso il cinema, la pittura, l’archeologia, oltre a mirabili ritratti di maestri dell’architettura contemporanea come Alvar Aalto, James Stirling, Arata Isozaki, fino al saggio Nel glauco chiarore abissale – forse il più bello mai scritto sull’opera di Renzo Piano.
le recensioni
Architettura in forma di parole, infatti, è un volume che raccoglie ventinove scritti (tra cui alcuni inediti) di Costantino Dardi pubblicati tra il 1976 e il 1991, vere e proprie riflessioni che interessano il proprio impegno progettuale, l’impegno di architetti suoi contemporanei come Stirling, Piano, Isozaki e, ancora, la costruzione dello spazio nella storia dell’architettura.
Il senso di questa raccolta, la cui lettura integrale aiuta non poco nel processo di comprensione del significato dell’opera di Costantino Dardi, continuamente tesa verso la ricerca di un’identità (e quindi di una reciproca corrispondenza) tra teoria e progetto, è già ampiamente declinato dall’ossimoro contenuto nel titolo, che bene ne sintetizza il contenuto e il valore aggiunto.
E’ lo stesso Dardi, nell’introduzione alla prima edizione di Semplice lineare complesso, a proporre, come ci ricorda Michele Costanzo, un singolare paradosso nello scrivere che …l’area della teoria appare assai più opportunamente coperta dai disegni, dai progetti e dal sistema di riferimenti ad essi sotteso […]. L’area del progetto, al contrario, per la esplicita assunzione delle posizioni di campo, per l’approccio deliberatamente orientato alla fondazione di una base di riferimenti, di un approccio critico, di un retroterra storico, di una collocazione culturale, mi pare che più correttamente sia occupata dai contributi scritti.
Il curatore del libro, per suo conto, assolve a un ruolo determinante decidendo, nel saggio di apertura, di impegnarsi a condurre per mano il lettore nella “selva” di riflessioni ‘dardiane’, aiutandolo di fatto nella percezione di questo insieme di saggi come un ‘continuum’, di ogni saggio come tassello di un ‘corpus’ unico.
Attraverso la raccolta e la riposizione di questi contributi, frutto di un complesso (e travagliato) lavoro di ricerca, Michele Costanzo consente al lettore di ri-scoprire il senso del lavoro dell’architetto friulano (di origine) e romano (per scelta), dall’attenzione al tema del luogo al valore che la geometria assume come significato progettuale, per citare solo due tra i consistenti temi di riflessione.
Temi che emergono altresì dalla commossa testimonianza scritta da Aldo Rossi, in occasione della scomparsa del suo amico e collega, alla quale Costanzo affida il ruolo di atto conclusivo del suo volume.
Gli scritti di Donata Tchou, Renato Nicolini e Stefano Cacciapaglia (cui il curatore ha affidato la scelta dei disegni di Dardi che accompagnano gli scritti) completano la serie dei contributi che si affiancano a quello di Aldo Rossi con l’obiettivo di tracciare un ricordo della figura del protagonista del volume.
Al termine del libro viene naturale considerare Architettura in forma di parole come ideale momento conclusivo di una trilogia aperta dall’edizione del 1976 di Semplice lineare complesso e proseguita con l’edizione del 1987, rivista da Dardi anche nel titolo, attraverso la significativa aggiunta di Acquedotto di Spoleto, che molto incide sulla comprensione della sua ricerca. La differenza, in questa circostanza, risiede nell’opportunità di conoscere un Dardi raccontato da fuori, per quanto in larga parte attraverso le sue stesse parole.
La raffinata selezione dei testi operata da Michele Costanzo lascia emergere, in una nuova ottica, la passione e l’entusiasmo di uno dei grandi maestri della generazione che si è formata sotto il suo insegnamento, tanto nell’atto dell’esposizione del proprio operato quanto, con altrettanta passione, nell’esposizione dell’operato altrui, qualità che oggi sembra appartenere sempre meno alla figura dell’architetto.
Un libro che aiuta, in un momento difficile per questo mestiere, a ritrovare la passione per il progetto di architettura, attraverso – per adoperare le parole stesse del curatore del volume – …una rilettura della visione teorica come guida dell’azione progettuale.
Ma un libro diretto, soprattutto, alle nuove generazioni, con l’intento di alimentare la passione per l’architettura e favorire la conoscenza di una figura significativa della nostra (comunque) recente storia progettuale.
I contributi pubblicati in questa occasione sono stati scritti dall’architetto nel periodo della piena maturità professionale. Sono lontani gli anni in cui Ernesto N. Rogers dalle pagine di «Casabella continuità» [1] presenta Nino tra le giovani promesse dell’architettura italiana; lontano il lehrjahre con Giuseppe Samonà, lontani gli anni veneziani. Progressivamente Nino sviluppa, a partire dall’interesse per il linguaggio come struttura e per la forma come scrittura, una lettura diametralmente opposta a quella dei compagni del Gruppo Architettura. Ed è qui che matura lo scatto verso la “Nuova Architettura” esposto ne Il gioco sapiente (Padova 1971) e l’interferenza teoria-progetto denunciata in Semplice lineare complesso (Roma 1976). In un momento in cui Manfredo Tafuri, con i suoi proclami, induce la sindrome d’Edipo da progetto, Dardi decide di pubblicare il proprio lavoro in una collana in controtendenza, quella diretta da Francesco Moschini incentrata sul ruolo del progetto, in modo assolutamente provocatorio: nella sezione progettuale gli scritti, in quella teorica i progetti.
All’interno di questa “trilogia” di volumi, Architetture in forma di parole rivela l’evoluzione matura di un interesse mai sopito in Dardi; il suo inter-esse, la sua capacità di essere tra le cose, di leggere, cogliere nessi, problematiche. In lui l’interrogazione del presente rimane come una costante, cosicché attraverso i suoi occhi il tessuto del passato si nutre nell’ordito degli eventi e nella trama del vissuto personale. L’attualità di questi testi critici – una volta depurati dai fattori accidentali – aumenta a dispetto del tempo trascorso dal momento in cui tali giudizi sono stati formulati; un esempio è quello dell’attenzione dedicata da Dardi allo sconfinamento arte-architettura, nodo problematico attuale. Accanto all’analisi della dimensione personale di memoria e poetica, si leggono istantanee dove lo spazio isotropo del passato recente, gli anni Ottanta, acquista profondità, così dal basso continuo emergono temi – macchina, industria, composizione, monumentalità, piazza, facciata – e figure – Alvar Aalto, Renzo Piano, Arata Isozaki, James Stirling, Aldo Rossi, Richard Meier, Peter Eisenman.
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